Ambientazione durante il carnevale romano in epoca barocca per l'opera di Berlioz in scena al Liceo e coprodotta con Londra, Amsterdam e Parigi dal fantasioso regista Terry Gilliam, avvezzo a film eclettici e visionari.
Dopo quarant’anni torna al Gran Teatre del Liceu di Barcellona il Benvenuto Cellini di Hectòr Berlioz, titolo che fatica a entrare nei repertori teatrali ma che esprime al meglio la forza musicale del compositore francese. Rappresentata per la prima volta nel 1838 a Parigi, l’opera fu un clamoroso insuccesso, ma il genio di Liszt comprese la potenzialità della musica dell’amico e lo convinse a vari rimaneggiamenti, fino al successo di Weimar del 1852 che è la versione attualmente rappresentata. La vicenda, tratta dall’autobiografia di Cellini, si concentra sull’episodio della fusione del Perseo, opera commissionata allo scultore dal Papa Clemente VII, e dalla vicenda d’amore del protagonista con Teresa, la figlia del tesoriere pontificio.
La regia è stata affidata Terry Gilliam, autore di riusciti film fantasy che spiccano per un marcato eclettismo visivo, in cui unisce con abile maestria il bello e il brutto, il moderno e l’antico, l’eccelso e il trash/kitsch. Anche questo ricorda molto i suoi film, immergendoci in quella realtà onirica e fantastica: Cellini è ambientato in un immenso carnevale romano fatto di eccessi fantastici, in un barocchismo da circo colorato e fantasioso, in una atmosfera che trasporta lo spettatore in una Londra dickensiana più che in una Roma rinascimentale, ma che sortisce pienamente l’effetto del libretto e della musica. Gilliam riempie la scena di giocolieri, maschere, funamboli, trapezisti, figure grottesche, ballerini e comparse e quasi fa scomparire i protagonisti in questa marea travolgente, dove il pubblico è impegnato più a vedere che a sentire. Il taglio che Gilliam vuole dare all’opera è umoristico e lo si nota fin da subito con una caratterizzazione che rimanda ai buffi rossiniani, senza contare poi la figura di Clemente VII trasformata in un imperatore cinese che ricorda più Turandot che un Papa. Il regista, forte della sua esperienza cinematografica, riesce con abilità a muovere le masse, ma non solo, gioca con abilità con mezzi video e con rimandi alla tradizione cinematografica felliniana, senza trascurare i momenti più intimi e i drammi interiori del protagonista. La regia di Gilliam è divertente e irriverente, magica e spettacolare, in cui si devono menzionare anche le belle scene di Aaron Marsden, che si rifà chiaramente sia a Piranesi che a Escher con la sua città fantastica; onnipresente la immensa testa dorata di Perseo, che come un chiodo fisso sovrasta la scena e come spada di Damocle ricorda a Cellini qual è il suo compito. Funzionali e ben fatti i costumi di Katrina Lindsay che riportano a modelli inglesi di metà Ottocento ma che riescono anche a dare singolari effetti nella Pantomima del primo atto.
La direzione meticolosa di Josep Pons, alla guida di una non sempre impeccabile Orchestra Sinfonica del Liceu, mette in risalto i colori della partitura di Berlioz e riesce a equilibrare la musica irruente e frenetica con pagine di intensa liricità. La non facile partitura viene snocciolata da Pons con semplicità, sostenendo con efficacia cantanti e le grandi masse corali. Pons, che è anche direttore stabile del Liceu, ha optato per tagliare quaranta minuti di spettacolo, ma l’opera ha funzionato ugualmente.
Nel ruolo del protagonista il tenore albanese Adrian Xhema ha dato una buona prova, riuscendo a entrare pienamente nel personaggio; una voce non eccessivamente ampia ma che possiede un ottimo timbro brunito e un buon fraseggio. Maurizio Muraro nei panni di Balducci non ha spiccato per musicalità ma per presenza scenica, è riuscito bene nel ruolo dandogli anche quel taglio ironico voluto dalla regia, buono il fraseggio e buona la tenuta della voce. Ashley Holland dona un tono buffo al suo Fieramosca, completa il personaggio con una voce impeccabile e una ottima presenza scenica. Un istrionico Eric Halfvarson ha rivestito i panni di un Clemente VII effeminato e imperiale; possiede una importante vocalità rotonda e un bel timbro da basso profondo. Kathryn Lewek è Teresa, la protagonista femminile, dalla voce squillante, con acuti puliti e freschi, con perfetti pianissimi e fraseggio impeccabile per la fragile amante di Cellini con abilità e padronanza vocale e recitativa. Molto brava Annalisa Stroppa nel ruolo en travesti di Ascanio; il mezzosoprano italiano dimostra ancora una volta il suo talento vocale mettendo in luce una voce vellutata e colorita, con registro omogeneo. Validi anche gli altri cantanti, Francisco Vas in Francesco, Valeriano Lanchas in Bernardino, Manel Esteve Madrid in Pompéeo e Antoni Comas nell’Oste.
Veramente ottima la prova del Coro del Liceu, preparato da Conxita Garcia, impegnato in un ruolo faticoso, ma che ha saputo emergere per professionalità e omogeneità delle voci.